A marzo, per motivi lavorativi, mi sono dovuto trasferire e, ahimè, sono passato da FTTH a FTTC, poiché la nuova abitazione non è raggiunta da tale tecnologia. Nella vecchia abitazione avevo un contratto TIM FTTH da 2.5 Gbit; quando ho cambiato casa ho richiesto il trasferimento della linea, in quanto avevo ancora 12 mesi di rate del router (TIM HUB+ Executive) da pagare.
Durante la chiamata con il servizio clienti ho chiesto più volte conferma che il modem in mio possesso fosse compatibile con il downgrade della tecnologia e mi è stato assicurato al 100% che lo fosse. Mi è stato detto, con tono anche piuttosto scocciato, che «Signor B**i, il modello in suo possesso è il miglior modello disponibile sul mercato, non si preoccupi».
Dopo qualche giorno dalla richiesta di trasferimento si presentano i tecnici a casa e, sin da subito, noto che hanno con sé un nuovo modem TIM. Chiedo spiegazioni e mi viene detto che quel modem avrei dovuto pagarlo in 24 mesi a 10 € al mese. Mi sarei quindi ritrovato un nuovo modem da pagare per 24 mesi più altri 12 mesi del vecchio modem.
Contatto nuovamente l’assistenza TIM, poiché i tecnici mi riferiscono che loro avrebbero potuto completare il lavoro soltanto “vendendomi” il nuovo modem. L’assistenza, invece, nega tutto e sostiene che ci sia stato un errore nella gestione della richiesta: risultava infatti che io avessi richiesto un nuovo modem. Mi dicono quindi di rifiutare l’intervento tecnico e attendere 48 ore per il KO della pratica, per poi far ripartire la richiesta di allaccio della linea senza nuovo modem.
Da qui inizia un siparietto tragicomico. Nessuno sembrava sapere se il TIM HUB+ Executive svolgesse anche il ruolo di modem o fosse solo un router. I tecnici e il servizio clienti davano risposte completamente discordanti. In ogni caso, avrei comunque dovuto rifiutare l’intervento, perché i tecnici non avrebbero completato il lavoro senza la vendita del nuovo modem: una situazione che definire “ricatto” non è esagerato.
Sono quindi costretto a rifiutare l’intervento tecnico. Da lì inizia un continuo rimpallo: per tutto marzo e aprile chiamo l’assistenza ogni 72 ore, perché mi viene detto che sarò contattato dai tecnici entro quel tempo. Alla fine di aprile, un’operatrice finalmente onesta mi spiega che la richiesta era stata inviata ai tecnici solo la primissima volta, quando c’era in ballo la vendita del modem. Una volta rifiutata, la richiesta era finita in una sorta di limbo e nessuno aveva più fatto nulla. Per due mesi, quindi, sono stato semplicemente preso in giro.
Decido quindi di interrompere immediatamente il contratto con TIM e di avvalermi di quanto riportato anche sul loro sito ufficiale: la restituzione del modem è possibile per gli acquisti contestuali all’offerta effettuati tra il 31/05/2022 e l’08/06/2024. Il mio contratto era stato sottoscritto il 24/04/2024, quindi rientravo pienamente in tali condizioni. Al telefono provano a convincermi del contrario, ma ciò che è scritto sul sito è difficilmente contestabile.
Restituisco il modem con tracciamento e ricevuta di ritorno. Sembrava tutto finalmente risolto.
Purtroppo, con la disdetta del contratto ricevo tutte le email previste, tra cui quella che mi informa della disabilitazione dell’account MyTIM. In contemporanea, però, ricevo anche un’email che mi avvisa dell’attivazione della domiciliazione bancaria, gestibile tramite l’app MyTIM. Col senno di poi, questa sequenza è molto sospetta: mi viene disabilitato l’account e, nello stesso momento, riattivano la domiciliazione.
A giugno 2025 mi arriva una fattura: 10 €. Non potendo accedere all’app, non posso verificarne il contenuto. L’assistenza sostiene che probabilmente si tratta dei costi di chiusura, anche se 10 € non sono 23 €. A luglio stessa storia. Richiamo, e questa volta mi dicono che “probabilmente” si tratta delle rate residue del modem, ma che, essendo stato restituito, devo solo attendere la conclusione della pratica tra Bologna (dove arriva il modem) e Milano (amministrazione). Mi assicurano che, una volta completata la procedura, le rate verranno stornate e rimborsate.
Ad agosto si ripete la medesima situazione, quindi apro una procedura su ConciliaWeb. Mi viene data ragione: ad ottobre si conclude un accordo secondo cui TIM dovrà rimborsarmi le rate addebitate ingiustamente entro 120 giorni.
Purtroppo, al peggio non c’è mai fine: settimana scorsa mi arriva una nuova fattura, questa volta da 90,14 €. Apro una nuova procedura su ConciliaWeb, ma stamattina mi arriva la notifica di archiviazione per inammissibilità, perché “la materia oggetto del presente procedimento è già oggetto del procedimento UG//2025 concluso con verbale di accordo del 6 ottobre 2025”.
A questo punto, vorrei sapere cosa devo fare.
L’accordo prevedeva il rimborso delle rate indebitamente addebitate «TIM conferma la cessazione della linea 0**7 e, in via conciliativa, accorda l’annullamento delle fatture di prossima emissione fino a chiusura del ciclo di fatturazione e la liquidazione di € 48,00 […] entro 120 giorni» ma ad oggi:
continuano ad addebitarmi soldi,
non ho ricevuto alcun rimborso,
ConciliaWeb non accetta nuove conciliazioni perché la precedente risulta conclusa.