La privatizzazione del 1997
Torre Telecom Italia a Roma, via Mario Carucci
Sotto la presidenza di Guido Rossi e l'uscita di Ernesto Pascale, il 20 ottobre 1997 venne attuata dal Governo Prodi la privatizzazione della società: dalla vendita del 35,26% del capitale si ricavarono circa 26 000 miliardi di lire. La privatizzazione, che comportò la quasi totale uscita del Ministero del tesoro dall'azionariato Telecom, venne realizzata con la modalità del cosiddetto "nocciolo duro": si vendette cercando di creare un gruppo di azionisti che fossero in grado di farsi carico della gestione della società. Il Governo non prese in considerazione il piano proposto dalle associazioni, di far aderire al capitale di Telecom gli oltre 100.000 dipendenti.[28]
A conclusione dell'OPV (Offerta pubblica di vendita), le azioni vennero collocate a 10.902 lire; il 27 ottobre 1997 Telecom Italia privatizzata fu collocata alla Borsa di Milano.[29][30][31] A causa della scarsa risposta degli investitori italiani il "nocciolo duro" non fu in realtà tale: il gruppo, con capofila la famiglia Agnelli, riuniva solamente il 6,62% delle azioni e si rivelò molto fragile.[32] Nel novembre 1998 Franco Bernabè venne scelto come Amministratore Delegato di Telecom Italia.
1999-2001 – L'offerta pubblica di acquisto da parte di Olivetti e la gestione Colaninno
Dal mese di febbraio 1999, Olivetti – già nel settore delle telecomunicazioni con Omnitel e Infostrada, cedute in seguito a Mannesmann – lanciò un'OPAS (offerta pubblica di acquisto e scambio) attraverso la Tecnost]] di Roberto Colaninno riuscendo a ottenere, nel giugno dello stesso anno, il controllo della società con una quota del 51,02%. L'OPAS andò a buon fine nonostante la contrarietà di Bernabè, che considerava il documento del piano "lacunoso" e non conforme alla normativa vigente.[33][34] Il Financial Times criticherà l'operazione.[35]
Telecom era una delle poche società ad azionariato diffuso italiane, in cui il Ministero del tesoro aveva ancora una quota del 3,5%, pari a due miliardi di euro. Il Tesoro non si presentò all'assemblea degli azionisti che doveva decidere le contromisure alla scalata, preferendo mantenere neutralità rispetto all'operazione. La legge sulla golden share avrebbe permesso al Tesoro il diritto di veto sull'operazione.[36]
La somma con cui la scalata fu finanziata, complessivamente trenta miliardi di euro, venne raccolta per un terzo attraverso capitale proprio (aumento di capitale e vendita di Omnitel e Infostrada) e per due terzi attraverso il prestito bancario e la conversione delle azioni Telecom in obbligazioni e azioni della Tecnost, la controllata di Olivetti che si era indebitata per controllare Telecom.[37] A questo punto è Bell, una società con sede nel Lussemburgo a controllare a monte la catena con il 22% di Olivetti.[38] Il gruppo Olivetti, con un fatturato da attività proprie pari a 1,3 miliardi e un debito di 16 miliardi, controllava il 51% del gruppo Telecom, che nel 1999 aveva un fatturato di 27,1 miliardi e un debito di appena 8,1 miliardi.
Conseguentemente all'espansione internazionale in Europa e in Sud America, iniziata durante la gestione pubblica, e in seguito all'acquisto di Seat Pagine Gialle, il debito del gruppo Telecom salì a 21,9 miliardi, come dichiarato nel bilancio 2001.
Nel 2001, lo storico centro di ricerca CSELT, già IRI-STET, venne scorporato dopo quasi 40 anni di ricerca a livello di eccellenza[39]: il gruppo di tecnologie vocali effettuò uno spin-off divenendo una nuova società, denominata Loquendo SpA e controllata al 100% da Telecom; mentre la parte più consistente divenne TILab (Telecom Italia Lab), pure controllata totalmente da Telecom Italia.